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Le modifiche alla protezione speciale: cosa resta del diritto al rispetto della vita privata e familiare?

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La protezione speciale, secondo la disciplina vigente in data antecedente al 10 marzo 2023, è frutto dell’entrata in vigore del D.L. n. 130/2020 (cosiddetto d.l. Lamorgese) e nasceva a tutela del processo di bilanciamento e riconoscimento dei diritti delle persone straniere.

Nel corso degli ultimi mesi, il Governo è intervenuto con numerosi provvedimenti in tema di diritto dell’immigrazione, finalizzati a modificare il Testo Unico Immigrazione e, in generale, il diritto nazionale che regola l’accesso e la permanenza dei cittadini stranieri sul nostro territorio. 

Tra i provvedimenti più controversi, rientra sicuramente il D.L. 20/23, cosiddetto Decreto Cutro, la cui formulazione originaria e successivi emendamenti hanno modificato in maniera importante numerosi aspetti, tra i quali l’istituto della protezione speciale. 

Il Decreto Cutro e le modifiche alla protezione speciale 

La protezione speciale, secondo la disciplina vigente in data antecedente al 10 marzo 2023, è frutto dell’entrata in vigore del D.L. n. 130/2020 (cosiddetto d.l. Lamorgese) e nasceva a tutela del processo di bilanciamento e riconoscimento dei diritti delle persone straniere. Chiaramente ispirato alla previgente protezione umanitaria ed espressione del principio di non refoulement, questo istituto riconosceva il diritto a permanere regolarmente sul territorio dello Stato in relazione ad un’ampia platea di diritti, non solo in presenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria. Ad esempio, comprendendo il rischio di lesione del diritto alla vita privata e familiare derivante da un potenziale allontanamento dall’Italia (art. 19, comma 1.1. TUI, terzo e quarto periodo). 

In merito al diritto al rispetto della vita privata e familiare, tutelato a livello sovranazionale dall’art. 8 CEDU, è bene sottolineare l’ampiezza di questo concetto. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, adeguatasi alle numerose pronunce della Corte di Strasburgo in merito, esso comprende il diritto dell’individuo di “allacciare e intrattenere rapporti con i propri simili e con il mondo esterno”, includendo nel suo ambito di applicazione “tutti i rapporti sociali instaurati dagli interessati, ivi compresi quelli lavorativi (per eccellenza indicativi di inserimento sociale)” [Cass. SU, 9.9.2021, n. 24413]. 

In ottemperanza a tale interpretazione estensiva del concetto di vita privata, la protezione speciale ex art. 19 co. 1.1., andava a tutelare tutti quei percorsi cosiddetti “virtuosi”, esplicatisi in percorsi scolastici e/o lavorativi, nello svolgimento di attività di volontariato, nell’apprendimento della lingua italiana o nell’instaurazione di una vita familiare, o comunque affettiva, sul territorio. 

protezione speciale

Il d.l. 20/23, invece, ha nettamente cambiato lo scenario normativo di riferimento, prevedendo l’abrogazione del terzo e quarto periodo dell’art. 19, comma 1.1. TUI, la cui formulazione originaria recitava: “non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”. 

Di conseguenza, se prima del Decreto Cutro potevano vedersi riconoscere la protezione speciale tutti coloro che fossero riusciti a dimostrare un buon livello della cosiddetta “integrazione sociale”, anche attraverso la propria rete sociale, formale e informale, lavorativa, familiare o di altra natura, ad oggi tale opportunità è venuta meno. 

Cosa resta del diritto al rispetto della vita privata e familiare? Un’analisi critica

Possiamo quindi dire addio al diritto al rispetto della vita privata e familiare? Per fortuna, in ambito giuridico le risposte non sono mai così nette ed un ordinamento democratico, come quello italiano, prevede una serie di garanzia a tutela dei diritti fondamentali.

Infatti, l’art. 5 co. 6 TUI, sopravvissuto alle recenti modifiche legislative, recita: “Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”. Con il suo espresso riferimento agli obblighi costituzionali ed internazionali in capo allo Stato, rappresenta la norma di chiusura dell’intero sistema regolatorio della condizione giuridica dello straniero in Italia; pertanto, è legittimo ipotizzare che, pur in assenza di espressa previsione di un permesso rilasciabile nel caso di specie (mero inadempimento amministrativo), detto permesso sia rilasciabile ex art. 5 co. 6 TUI, ove il suo riconoscimento ottemperi alla tutela di un diritto riconosciuto a livello costituzionale o internazionale. 

Inoltre, è bene ricordare che resta sempre vigente la gerarchia delle fonti, che pone tanto la nostra Costituzione, quanto le convenzioni internazionali debitamente ratificate, in posizione sovraordinata rispetto alle leggi ordinarie. Tuttavia, è lecito presupporre che la Questure, dinanzi ad un’eventuale richiesta di rilascio pds ex art. 5 co. 6 TUI, opporranno un netto diniego, proprio a causa dell’assenza di espressa previsione di un permesso di soggiorno corrispondente. Pertanto, i richiedenti dovranno far valere i propri diritti in altre sedi. 

Ulteriori modifiche intervenute sull’istituto della protezione speciale includono: 

  • L’eliminazione della possibilità di richiederla con istanza presentata direttamente al Questore. La soppressione di tale secondo binario determinerà, presumibilmente, un ulteriore sovraccarico in capo alle Commissioni territoriali; infatti, l’unico modo per ottenere la protezione speciale, ad oggi, resta la richiesta di protezione internazionale, anche in assenza dei relativi presupposti; 
  • L’impossibilità di convertire il permesso di soggiorno per protezione speciale in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ad eccezione di quelli già rilasciati, sebbene stia attualmente prendendo piede, nella PA, un’interpretazione restrittiva che riconosce validità alle sole istanze di conversione presentate prima del 06/05/2023 (data di entrata in vigore della L. 50/2023, legge di conversione del Decreto Cutro), circostanza che pone numerosi dubbi sotto il profilo della legittimità. Difatti, un primo segnale in tal senso è arrivato dal T.A.R. per le Marche con sentenza n. 914 del 28 dicembre 2023 e dal T.A.R. per la Lombardia, con ordinanza n. 45 del 18 gennaio 2024, che hanno sancito la convertibilità del permesso di soggiorno per protezione speciale ottenuto o richiesto in data antecedente all’entrata in vigore della legge 50/2023. 

In conclusione, sebbene sarà solamente il tempo a darci indicatori concreti degli esiti delle norme summenzionate, esistono già fondati motivi di ritenere che il dibattito si sposterà nelle sedi istituzionali preposte, quali indubbiamente i Tribunali, ma anche le Commissioni territoriali nell’esame delle domande di asilo. 

La posta in gioco è sempre la stessa: il rispetto dei diritti umani fondamentali e il mantenimento delle garanzie normative e procedurali del nostro ordinamento, per evitare derive pericolose che, nel lungo periodo, possono nuocere all’intera comunità.

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